Vacanza rovinata: che fare?

Riceviamo e, volentieri, pubblichiamo (ovviamente omettendo per ragioni di privacy sia il nome della Scrivente che il nome del tour operator):
"Gent.mo avv.Pozzolo, mi permetto di scriverLe perché ho letto sul Suo sito che la prima consulenza via mail non richiede spese, dato che, prima di procedere con un'eventuale causa, preferirei avere un Suo consiglio legale. Dunque, il mio problema e' il seguente: qualche tempo fa ho fatto un viaggio di una settimana in Egitto con [omissisun noto tour operator prenotato in agenzia (e non un last minute!) che mi aveva assicurato un servizio da hotel 4 stelle. Dopo il mio arrivo, invece, ho tristemente scoperto che l'hotel era potenzialmente molto bello e ospitale, peccato che fosse in ristrutturazione da qualche settimana e che, quindi, solo poche stanze erano in funzione e più della meta' dell'albergo (tra cui la zona piscina!) era inutilizzabile. Ho ovviamente scattato delle foto e mi sono riproposta di chiedere un risarcimento danni, ma non saprei bene come procedere. Mi conviene scrivere alla mia agenzia viaggi (che, pero',mi ha detto di non essere mai stata informata sui lavori di ristrutturazione!) oppure direttamente al tour operator? C'è il rischio di entrare in causa (con lungaggini annesse e connesse) oppure c'è un modo per evitare di andare in tribunale, ma di ottenere comunque un risarcimento? RingraziandoLa se vorrà gentilmente rispondermi, i miei più cordiali saluti. [...]".
Gentile Signora,
casi simili a quello che Lei ha sottoposto alla nostra attenzione hanno già formato oggetto di lavoro per il nostro studio legale. Certamente, stando le cose così come da Lei illustrate, parrebbe sussistere un diritto ad un risarcimento danni per vacanza rovinata.
Certamente per poter esprimere un parere meglio articolato e più preciso avremmo bisogno di leggere il contratto eventualmente da Lei sottoscritto con l'agenzia viaggi, così come avremmo necessità di confrontare le foto promozionali dell'hotel con le foto poi da Lei scattate durante il soggiorno nel medesimo hotel.
In linea di massima, solitamente, se si producono elementi difficilmente contestabili - dai quali si può dedurre al di là di ogni ragionevole dubbio l'effettiva diversità del prodotto venduto da quello pubblicizzato - il tour operator difficilmente si ostina a negare un congruo risarcimento, soprattutto per evitare i costi ben maggiori che avrebbe, inevitabilmente, un giudizio.
La strada maestra, di solito, in casi del genere è quella di scrivere una lettera di protesta, indirizzata al tour operator e per conoscenza anche all'agenzia viaggi, in cui si richiede una congrua offerta di risarcimento danni per evitare di dover adire la giustizia civile, intentando così un'azione legale teoricamente evitabile. 
A tale missiva vanno allegate le fotografie che possono comprovare la radicale diversità della situazione effettiva in cui si trova l'hotel in oggetto, rispetto alla pubblicità sulla base della quale Lei si è convinta a optare per quella determinata struttura alberghiera.
E' probabile che il tour operator, pur senza rimborsarLe l'intero costo dell'hotel, cerchi di chiudere in via amichevole la diatriba, sulla base di un rimborso forfettario.
Sperando di averLe fornito elementi sufficienti per meglio inquadrare, a livello giuridico, la situazione, restiamo ovviamente disponibili per qualsivoglia assistenza in merito al Suo caso.
Con cordialità.
 
SLP 
 


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Sequestro conservativo in materia tributaria


Non è infrequente che l'Agenzia delle Entrate, a seguito di accertamento tributario, tenti la via del sequestro conservativo, al fine di "garantire" il patrimonio del supposto debitore nei confronti dello Stato. Non sempre però vengono rispettati i limiti, molto precisi, che la legge impone come fondamento normativo al fine dell'applicazione delle misure conservative. A tal fine, è necessario rivolgersi ad esperti del diritto che sappiano valutare, con equilibrio e precisione, l'eventuale insussistenza di tali presupposti. Lo Studio Legale Pozzolo, con sede in Vercelli, si occupa da anni anche del contenzioso tributario e, grazie ad un aggiornamento  continuo rispetto alle modificazioni normative, può garantire - sulla base di costi chiari - una difesa efficace volta a contrastare le pretese, tavolta decisamente "aggressive", di chi è chiamato a risquotere i tributi per conto dello Stato.
Qui di seguito si fornisce un ampio estratto di una circolare emanata dalla stessa Agenzia delle Entrate, nel febbraio del 2010, fondamentale per la tutela degli interessi del contribuente che si vede richiedere, da parte dello Stato, l'applicazione di alcune misure cautelari a tutela del proprio (eventuale) debito erariale. 
  



ESTRATTO DALLA CIRCOLARE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
N. 4/E FEBBRAIO 2010



3. Presupposti
Come si desume dal combinato disposto degli articoli 22, comma 1, del decreto legislativo n. 472 del 1997 e 27, commi da 5 a 7, del decreto legge n. 185 del 2008, i presupposti per l’adozione delle misure cautelari sono:
· l’esistenza di un atto di contestazione, di un provvedimento di irrogazione sanzione, di un avviso di accertamento, di un processo verbale di constatazione o di un atto di recupero, ritualmente notificati e dai quali si evinca la sussistenza del c.d. fumus boni iuris, ossia l’attendibilità e sostenibilità della pretesa tributaria;
· il fondato timore, da parte dell’Ufficio, di perdere la garanzia del proprio credito, c.d. periculum in mora.
Evidentemente i predetti presupposti devono sussistere congiuntamente affinché possa essere applicata la misura cautelare.
Con riguardo al primo presupposto, nella ipotesi in cui si agisca sulla base di un provvedimento impositivo, il titolo per richiedere le misure cautelari è rappresentato dallo stesso atto formale, che ha già subito un’attenta valutazione circa l’attendibilità e la sostenibilità della pretesa, e, conseguentemente, l’Ufficio, nella richiesta di adozione delle misure in argomento, potrebbe fare un mero rinvio al predetto titolo. Occorre, tuttavia, sottolineare la fondamentale importanza di una puntuale ed esauriente motivazione della richiesta; pertanto, gli Uffici porranno particolare cura nel motivare le proprie istanze.
Nel caso in cui si proceda, invece, sulla base del processo verbale di constatazione, l’Ufficio, oltre ad indicare il titolo in forza del quale richiede l’adozione delle misure cautelari, deve analiticamente evidenziare anche le ragioni che stanno a fondamento della pretesa ed ogni altra circostanza che possa supportarla, quale, ad esempio, l’accertamento in sede penale di fatti comprovanti la violazione. Peraltro, qualora le misure vengano richieste sulla base di un processo verbale di constatazione, esse, come si chiarirà diffusamente più avanti, perdono efficacia ai sensi dell’articolo 22, comma 7, “se nel termine di 120 giorni dalla loro adozione, non viene notificato atto di contestazione o di irrogazione” e lo stesso accade, ai sensi dell’articolo 16, comma 7, laddove alle memorie difensive non faccia seguito entro il medesimo termine il provvedimento di irrogazione della sanzione.
Quanto al secondo presupposto, l’evidenziazione del c.d. periculum in mora deve essere adeguatamente circostanziata nella richiesta e deve scaturire da un’approfondita ed attenta analisi della situazione del debitore-contribuente; l’adozione delle misure cautelari, così come la scelta di quelle che si intende adottare, deve, infatti, essere improntata a prudenza, sia in ragione degli effetti che queste misure hanno sulla tutela dell’interesse erariale, prima ancora che sia divenuto certo, liquido ed esigibile, sia per le implicazioni che le stesse determinano sul patrimonio dei contribuenti.
È necessario, pertanto, effettuare un preventivo esame della pretesa impositiva e dell’intera posizione del contribuente anche al fine di avere una visione approfondita del debito erariale dello stesso. In particolare, qualora si proceda sulla base di un processo verbale, dovranno essere determinati gli importi dei tributi, degli interessi e delle sanzioni che saranno in concreto applicate sulla base dei rilievi condivisi dall’Ufficio.
Il concetto di periculum in mora richiama, infatti, una pluralità di elementi, anche di carattere indiziario, ma convergenti nell’indurre a ritenere reale, da parte degli Uffici, il rischio di comportamenti del contribuente mediante i quali i beni disponibili vengono sottratti ad eventuali azioni esecutive da parte dell’agente della riscossione in caso d’inadempimento.
In via generale, poi, il pericolo per la riscossione, che deve essere attuale e non solo potenziale, può essere desunto sia da dati oggettivi come la consistenza quantitativa e le caratteristiche qualitative del patrimonio, sia da dati soggettivi quale la condotta del debitore. Il comportamento del debitore deve essere valutato in base a fatti non equivoci, desumibili, ad esempio, dai pregressi comportamenti negoziali e processuali e dall’effettuazione di atti di dismissione.
Pertanto, l’Ufficio deve attivarsi per l’adozione delle misure cautelari tutte le volte in cui ritenga probabile che in futuro il debitore (contribuente o trasgressore) possa dissolvere i propri beni, peraltro già ritenuti, al momento, insufficienti o comunque appena sufficienti a soddisfare la pretesa erariale.
Circostanze sintomatiche del fondato pericolo di perdere la garanzia del credito tributario possono essere individuate, ad esempio, nella consistenza di un patrimonio dell’impresa, risultante dagli ultimi bilanci, non capiente rispetto alla pretesa erariale o dal fatto che sia cessata l’attività d’impresa facendo venir meno la principale garanzia.
In particolare, in ipotesi di notevole sproporzione tra la consistenza patrimoniale del contribuente (o autore della violazione) e l’entità del credito da tutelare, al predetto elemento statico deve affiancarsi, ai fini del requisito del periculum in mora, l’ulteriore elemento dinamico rappresentato dal comportamento del contribuente successivo all’espletamento del controllo, desumibile da ogni concreto elemento indicativo della volontà del debitore di depauperare il proprio patrimonio.
Inoltre, tra i sicuri indici di pericolo per la riscossione devono essere considerate le cessioni di beni o diritti che siano state effettuate in epoca recente, tali da far ritenere che si sia in presenza di un tentativo di sottrarsi all’adempimento dell’obbligo tributario, comportamento, quest’ultimo, suscettibile di assumere rilevanza penale al ricorrere delle condizioni previste dall’articolo 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.
Anche operazioni sul capitale sociale o che su questo hanno riflessi, quali conferimenti di azienda o rami di azienda, fusioni o scissioni, possono essere indicative di un processo di annacquamento del patrimonio.

4.2.1 Procedimento per la richiesta delle misure cautelari
Il procedimento per la concessione delle misure cautelari è disciplinato dall’articolo 22 del decreto legislativo n. 472 del 1997.
L’atto introduttivo consiste in un’istanza al Presidente della Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’Ufficio finanziario che ha emesso o ha competenza ad emettere (nel caso che il titolo sia il processo verbale di constatazione) il provvedimento con il quale viene contestata la violazione ed irrogata la sanzione.
L’istanza, perciò, deve contenere tutti gli elementi, prescritti dal codice di rito, di seguito riportati:
· l’indicazione del titolo in base al quale si procede (atto di contestazione, avviso di irrogazione, processo verbale di constatazione, avviso di accertamento o atto di recupero del credito indebitamente compensato) e della somma per la quale si intende procedere; oltre ad indicare il titolo, l’Ufficio deve esporre le ragioni che stanno alla base della pretesa e le circostanze che la rendono attendibile e sostenibile (fumus boni iuris), in particolare nel caso di processo verbale di constatazione;
· le ragioni che giustificano il timore di perdere la garanzia del credito nel periodo intercorrente tra la notifica e la riscossione (periculum in mora);
· l’individuazione e la descrizione dei beni o dei diritti che si intendono sottoporre a sequestro o a ipoteca.
L’istanza, quindi, deve essere adeguatamente motivata e deve indicare le circostanze di fatto e di diritto che mettono in pericolo la riscossione del credito erariale.
Al fine di agevolare gli adempimenti degli Uffici si allega alla presente Circolare un fac-simile di istanza che potrà essere all’uopo modificato ed integrato (Allegato n. 2).
Si rammenta, inoltre, che l’articolo 22 prevede due distinte procedure, una delle quali “ordinaria” e l’altra con carattere “straordinario” o d’urgenza.
In base alla prima, l’istanza prevista dal comma 1 dell’articolo 22 deve essere notificata a tutte le parti interessate, anche a mezzo posta, e depositata, unitamente ai documenti che l’Ufficio ritiene opportuno allegare (copia provvedimento impositivo, copia certificati, ecc.). Le parti, entro venti giorni dalla notifica, possono depositare memorie e documenti difensivi. Formato il fascicolo, il Presidente della Commissione fissa con decreto la trattazione dell’istanza per la prima camera di consiglio utile, disponendo che sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima.
A seguito della trattazione, la Commissione decide con sentenza, pronunciandosi, oltre che sull’applicazione delle misure cautelari, anche sulle spese di giudizio di tale fase procedurale, le quali devono essere liquidate direttamente nel medesimo provvedimento.
La seconda procedura deve adottarsi nel caso di eccezionale urgenza o pericolo nel ritardo, che dovrà essere dimostrato dall’Ufficio (nelle ipotesi, ad esempio, di intervenuta alienazione di beni da parte del debitore, o di apposizione sugli stessi di vincoli che ne rendano più difficoltosa l’eventuale escussione). In tal caso, il Presidente della Commissione tributaria provvede con decreto motivato, inaudita altera parte.
Tale decreto non viene riesaminato in sede collegiale, come generalmente succede per i decreti resi in via d’urgenza. È invece ammesso reclamo al collegio entro trenta giorni, il quale, sentite le parti in camera di consiglio, decide con sentenza.
Per una esaustiva trattazione dell’argomento, si fa, comunque, rimando alle indicazioni già fornite a commento dell’articolo 22 con la Circolare n. 180/E del 10 luglio 1998, paragrafo 2 e con la successiva Circolare n. 66/E del 6 luglio 2001, paragrafo 8.
Si evidenzia che l’articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 qualifica come “sentenza” il provvedimento con cui la Commissione tributaria provinciale decide sulla richiesta di misure cautelari.
Per questo motivo, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, si deve ritenere “che esso sia sottoposto dal legislatore medesimo ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze e dunque l’appello ed il successivo ricorso per cassazione; ancorché si tratti di provvedimenti che non assumono la stabilità propria di un vero e proprio giudicato in quanto “perdono efficacia a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda” (si parla in proposito di un “giudicato cautelare”),” (Cass., n. 24527 del 2007; conforme, Cass., n. 7342 del 19 marzo 2008).
Pertanto, l’Ufficio che intende censurare la pronuncia di rigetto sulla richiesta di misure cautelari può proporre la relativa impugnazione dinanzi al giudice di grado superiore.

4.2.2 Rapporto tra procedimento ex articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 e giudizio di
merito
In sede di valutazione dell’opportunità di proporre impugnazione avverso la sentenza di rigetto della richiesta di misure cautelari, l’Ufficio deve tener conto - oltre che delle concrete possibilità di un ribaltamento dell’esito del precedente grado di giudizio e dell’eventualità, in caso di rigetto dell’impugnazione, di condanna alle spese - anche delle vicende dell’eventuale giudizio di merito instaurato medio tempore dall’interessato avverso l’atto impositivo sulla cui base è stata formulata richiesta di misure cautelari.
Ciò anche nelle ipotesi in cui le misure cautelari siano state richieste sulla base di un processo verbale di constatazione da cui è successivamente scaturito l’atto di accertamento poi impugnato dall’interessato.
La possibilità della contestuale pendenza del procedimento ex articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 e del giudizio di merito avverso l’atto impositivo, pertanto, si riflette sui comportamenti che gli Uffici sono chiamati a porre in essere in sede processuale.
Nel caso in cui la richiesta di misure cautelari - formulata, ad esempio, sulla base di un processo verbale di constatazione presupposto di un atto di accertamento - sia stata accolta ed il successivo atto di accertamento sia stato impugnato, l’Ufficio, costituendosi nel giudizio di merito, rappresenta tale circostanza, depositando copia del relativo provvedimento giurisdizionale.
Nelle controdeduzioni, in particolare, l’Ufficio, sostiene la legittimità della pretesa tributaria anche attraverso il richiamo delle motivazioni - specificamente di quelle sul fumus boni iuris - del provvedimento con il quale sono state concesse le misure cautelari.
Secondo l’esito del giudizio di merito sono diversi gli effetti sulle misure cautelari.
Se, infatti, il rigetto del ricorso avverso l’atto impositivo non determina alcuna conseguenza sull’efficacia delle misure cautelari, di contro le stesse - in base al comma 7 dell’articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 - perdono efficacia “a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda”.
In ragione del chiaro dato letterale della norma appena richiamata, deve, invece, ritenersi che la sospensione giudiziale dell’atto impugnato disposta ai sensi dell’articolo 47 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, non comporta la perdita di efficacia della misura cautelare già concessa.
Nell’ipotesi in cui sulla richiesta ex articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 non sia ancora intervenuta una pronuncia del giudice tributario e nel frattempo sia stata incardinata la controversia di merito, l’Ufficio si costituisce nel secondo giudizio rappresentando la pendenza del primo procedimento, al fine di una eventuale riunione ai sensi dell’articolo 29 del d.lgs. n. 546 del 1992.

4.2.3 Partecipazione dell’Ufficio alla camera di consiglio sulla richiesta di misure
cautelari
Nel procedimento per la richiesta delle misure cautelari, le parti sono ammesse all’audizione in camera di consiglio sia nell’ipotesi - espressamente prevista dal comma 4 dell’articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 - di decisione del collegio in esito a reclamo avverso il decreto presidenziale emesso inaudita altera parte, sia nell’ipotesi, ordinaria, in cui l’istanza cautelare venga direttamente sottoposta alla cognizione del collegio.
In proposito, la Cassazione ha chiarito che l’audizione deve aver luogo anche in questa seconda ipotesi “...(pur in assenza di preventiva richiesta delle parti di trattazione in pubblica udienza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 33)” in quanto “la mancata esplicita prescrizione della previa audizione delle parti in merito alla trattazione dell’istanza cautelare direttamente sottoposta alla cognizione del collegio costituisce mera lacuna legislativa, frutto d’imperfetta formulazione e, peraltro, agevolmente colmabile in funzione sistematica” (Cass., n. 7342 del 2008).
In considerazione dell’importanza delle misure cautelari quale strumento di tutela del credito erariale per il contrasto dei più rilevanti fenomeni di evasione nella fase della riscossione (cfr., al riguardo, Circolare n. 13/E del 9 aprile 2009), deve essere sempre assicurata, da parte degli Uffici, la partecipazione alla camera di consiglio in cui si decide della concessione delle medesime.