Notifica urgente? Basta una telefonata.


da www.ilsole24ore.com

Nei casi di estrema urgenza è valida la notifica del decreto di fissazione dell’udienza fatta al difensore per telefono, se ha il fax rotto e non si fa trovare in studio dai carabinieri. Lo ha deciso la Corte di cassazione, sentenza 44998/2012, respingendo il ricorso di due avvocati.

Il caso era quello di una notifica per la fissazione di una udienza per discutere di un ricorso contro una provvedimento di custodia cautelare per un caso di usura ed estorsione.
Nell’ultimo giorno utile per la notifica, i Carabinieri si sono recati direttamente allo studio degli avvocati senza però trovarli. A quel punto dopo essersi fatti dare dal custode della stabile il cellulare avevano chiamato al telefono uno dei due difensori informandolo dell’udienza e prendendo accordi per il ritiro della notifica presso la stazione dei Carabinieri. Il legale però non solo non si era recato a prendere la notifica ma da quel momento era risultato irreperibile.

La Cassazione nel respingere il ricorso ha qualificato come “ostruzionistico” il comportamento degli avvocati, i quali, fra l’altro, così facendo sono anche venuti meno all’obbligo di tenere presso lo studio una persona o di apprestare mezzi tecnici adeguati per la ricezione degli avvisi e delle notifiche previste dalla legge come urgenti.

Per la Suprema corte dunque deve trovare applicazione il principio per cui in simili casi piuttosto che la ‘notifica’ vera e propria è sufficiente “procurare al destinatario dell’avviso l’effettiva conoscenza della notizia, anche se questa è comunicata con forme diverse da quelle previste per le notificazioni”.

Così, la notifica deve ritenersi effettuata validamente anche in assenza dell’invio del telegramma per assenza di fondi, come indicato dalla cancelleria.

(Corte di cassazione - Sezione II penale - Sentenza 19 novembre 2012 n. 44998)

Accordarsi conviene!

L'italiano è un popolo litigioso, si sa.
Sappiamo però, altrettanto bene, che la giustizia italiana è assolutamente incapace, oggi, di garantire la certezza del diritto e la ragionevole durata del processo.
Quindi, chiunque voglia imbarcarsi nell'avventura di intentare una causa a Tizio piuttosto che a Caio, dovrà ben tenere conto della situazione drammatica in cui versano i tribunali italici.
Se è ovvio che alcune controversie non possono che essere sottoposte alla prudente attenzione di un giudice, è altrettanto vero che moltissime altre diatribe possono essere concluse ben prima di essere sottoposte al procedimento giudiziale.
E' giusto consigliare i propri assistiti nel modo più corretto possibile: indirizzando - quando possibile - gli stessi a ricercare, con l'aiuto dei propri legali, una più rapida ed economica soluzione conciliativa.
In fin dei conti, spesso, è una ragione economica che sottostà ad una controversia giuridica: proprio con riguardo principale all'aspetto economico, allora, risulta evidente la convenienza di tentare di transare, raggiungere rapidamente un accordo e risparmiare proprio prezioso denaro e tempo.
Che senso ha buttare via soldi e anni davanti ad un giudice se la controversia può essere risolta subito e a meno della metà del costo? Non conviene rivolgersi ad esperti del diritto che siano in grado di consigliare la migliore strada transattiva?
Lo Studio Legale Pozzolo, grazie alla sua trentennale esperienza nel diritto civile e grazie alla collaborazione con esperti in materia fiscale, offre un'assistenza legale a 360°, rivolta anzitutto ad evitare le lungaggini di un inutile processo quando, invece, può rivelarsi migliore l'ipotesi di ricercare un accordo transattivo.
In Italia, oggi, accordarsi conviene!

Dal diritto tributario, passando per qualunque tipo di contratto, giungendo fino al diritto del lavoro: rivolgiti a noi. Conviene. 

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Costi inerenti, ribaltato l'onere della prova


  Sentenza autenticamente rivoluzionaria quella con cui, recentemente, la Corte di Cassazione è intervenuta in tema di costi inerenti:  “quella di inerenza è una nozione pre-giuridica, di origine economica, legata all’idea del reddito come entità necessariamente calcolata al netto dei costi sostenuti per la sua produzione” e “pertanto, inerente è tutto ciò che – sul piano dei costi e delle spese –appartiene alla sfera dell’impresa, in quanto sostenuto nell’intento di fornire a quest’ultima un’utilità, anche in modo indiretto. A contrario, non è invece inerente all’impresa tutto ciò che si può ricondurre alla sfera personale o familiare dell’imprenditore, ovvero del socio o del terzo.         
       Se dal piano economico si passa, poi, a quello fiscale, da quanto suesposto discende che l’inerenza di un onere o di un costo all’impresa, in quanto si concreta in una componente negativa del reddito, si traduce – attraverso il meccanismo delle deduzioni – in un risparmio di imposta, giacché esso viene ad abbattere il reddito imponibile netto, in misura corrispondente all’entità della spesa o del costo deducibili.
Alla luce di tali rilievi, pertanto, può spiegarsi agevolmente perché – in applicazione del principio desumibile dalla norma di cui all’art. 2697 c.c. – l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno vita ad oneri e/o a costi deducibili, nonché in ordine al requisito dell’inerenza degli stessi all’attività professionale o d’impresa svolta, ex art. 109, co. 5 d.P.R. n. 917/86, ceda in via di principio, secondo il costante insegnamento di questa Corte a carico del contribuente che intenda avvalersene (cfr. Cass. 11205/07, 1709/07, 3305/09, 26851/09, 18930/11).
Per converso, sempre in tema di imposte sui redditi, è del pari incontrovertibile che incomba sull’amministrazione finanziaria l’onere di dimostrare, qualora la pretesa tributaria dedotta in giudizio derivi dall’attribuzione al contribuente di maggiori entrate, gli elementi o le circostanze, a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile (Cass. 11205/07).
E tuttavia, siffatto riparto dell’onere della prova si attaglia, com’è del tutto evidente, a soli casi di dubbio collegamento della componente reddituale negativa con l’impresa, nei quali l’onere della prova – secondo quando detto – non può che fare carico al contribuente.
Viceversa, laddove si tratti delle spese strettamente necessarie alla produzione del reddito, o comunque fisiologicamente riconducibili alla sfera imprenditoriale (ad esempio, i costi per l’acquisto di materie prime, o di macchinari o strumenti indispensabili a produrre certi beni, o di manufatti necessari per la loro custodia) che, in quanto tali, possano ritenersi intrinsecamente inerenti all’attività di impresa, sarà l’amministrazione a dover provare l’inesistenza, nel caso specifico, del predetto nesso di inerenza.
In siffatta ipotesi, invero, a fronte della palese riconducibilità della spesa o del costo all’impresa, dovrà l’amministrazione – che intenda disconoscerne l’inerenza all’attività di impresa, al fine di inferirne la sussistenza di un maggior reddito tassabile in capo al contribuente – fornire la relativa dimostrazione in giudizio.
Nel medesimo ordine di concetti, questa Corte ha avuto modo più volte di operare un distinguo, ai fini del riparto dell’onere della prova, tra beni “normalmente necessari e strumentali” e beni “non necessari e strumentali”, ponendosi a carico del contribuente l’onere della prova dell’inerenza solo in questa seconda evenienza (cfr. Cass. 9265/95, 13478/01).
Ed invero, il requisito dell’inerenza, indispensabile ai fini della deducibilità dell’onere o del costo, si determina in relazione alla “funzione dei beni e dei servizi acquistati” dal contribuente (Cass. Cass. 10257/08), ossia della “ragione” della spesa riconosciuta e contabilizzata dall’imprenditore (Cass. 6650/06), in relazione alle quali è calibrato l’onere della prova, da porsi, cioè, a carico del contribuente, solo laddove la strumentalità della spesa all’attività di impresa non risulti di chiara evidenza in considerazione della sua stessa natura" (Corte Cass., Sez. V Civ., 27/04/2012, n. 6548).


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Lo Studio Legale Pozzolo fornisce assistenza e difesa altamente qualificata in materia tributaria: esperienza e aggiornamento costante consentono, soprattutto in una materia in continuo sviluppo come quella fiscale, di poter tutelare al meglio il contribuente "aggredito" dall'Agenzia delle Entrate. 
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Locazioni, meglio mediare



La materia delle locazioni ad uso abitativo, in Italia, – riformata con la Legge 9 dicembre 1998, n. 431 – presenta una situazione normativa piuttosto frastagliata che talvolta può contribuire in modo determinante all’insorgere di controversie di carattere giuridico.
Specificatamente, nell’ampio mosaico di leggi e riforme succedutesi negli anni, risulta piuttosto nebulosa la regolamentazione del diritto di prelazione sugli immobili ad uso abitativo: tale istituto giuridico – quello della prelazione – fu storicamente previsto, all’interno del panorama giuridico italiano, per consentire ai cittadini locatari di immobili ad uso abitativo (quindi non proprietari degli stessi) di poter acquistare la casa locata al termine del contratto di locazione stessa.
La ratio della previsione normativa dell’istituto della prelazione – introdotta dalla legge n. 392/1978 – pare essere molto chiara nella sua sostanza “politica”: il legislatore prevedendo che alla scadenza del contratto di locazione ad uso abitativo il conduttore potesse esercitare il diritto di prelazione e quindi, a parità di condizioni economiche, essere preferito a terzi nel caso vendita dell’immobile, ha optato evidentemente per riconoscere una sorta privilegio in capo al locatore.
La logica di tale scelta legislativa può essere compendiata in un concetto: la legge, tramite il riconoscimento del diritto di prelazione per immobili ad uso abitativo, intendeva fornire uno strumento giuridico utile a consentire al conduttore di poter divenire – al termine del contratto di locazione ed in caso di vendita da parte del locatore dell’immobile stesso – proprietario dell’immobile locato.
Le successive riforme, in ambito di locazione ad uso abitativo, modificando il panorama giuridico – in particolare modo con la legge n. 431/1998 – hanno progressivamente distolto l’attenzione originaria del legislatore del 1978, fondata anzitutto sui diritti del conduttore, per concentrarsi sulle esigenze del “mercato immobiliare”: anche la giurisprudenza in materia, infatti, ha subito un’oscillazione considerevole in tema di prelazione. 
Attualmente vige un'interpretazione restrittiva e non del tutto condivisibile che vedrebbe "tramontare" il diritto di prelazione già alla seconda scadenza del contratto di locazione di immobile ad uso abitativo: tale interpretazione pare evidentemente comprimere in modo esagerato la tutela del conduttore e, in definitiva, la ratio stessa del concetto di prelazione.
Prudenza e correttezza vorrebbero che, nonostante la più recente giurisprudenza avalli di fatto un'interpretazione restrittiva in merito alla sussistenza del diritto di prelazione in materia di locazione immobiliare ad uso abitativo, oggi, si tendesse a riconoscere comunque - in caso di disdetta del contratto di locazione in vista della vendita dell'immobile - il diritto di prelazione al conduttore.
Tale impostazione tenderebbe ad evitare l'insorgere di spiacevoli controversie e, soprattutto, mirerebbe al riconoscimento sostanziale di un diritto, quello della prelazione, volto a consentire l'acquisto della casa da parte dell'inquilino conduttore. Non sempre tale riconoscimento in capo al conduttore avviene e così possono nascere controversie di difficile soluzione.
In una materia tanto controversa - dove il dettato sostanziale delle norme è stato nel tempo sostanzialmente modificato di segno dalla giurisprudenza - difficilmente possono esistere delle "certezze": onde evitare dunque inutili lungaggini processuali e dispendiose spese legali, sarebbe opportuno riuscire a "mediare" gli interessi in gioco, tra locatore e locatario, utilizzando i tradizionali canali della conciliazione stragiudiziale oppure della nuova mediazione civile.
Nell'uno come nell'altro caso, andando al di là del dettato asettico delle norme e della giurisprudenza si potrebbero contemperare le esigenze di entrambe le parti, eventualmente "monetizzando" la rinuncia a tentare di far valere i propri diritti. Insomma, in questo come in molteplici altri campi, la "mediazione" risulta essere la migliore soluzione.

Lo Studio Legale Pozzolo offre un'assistenza a 360 gradi per quanto riguarda la materia delle locazioni: in caso di dubbi, problemi o controversie lo Studio Legale Pozzolo può aiutarti a tutelare i tuoi interessi.

STUDIO LEGALE POZZOLO - tel. 0161.254664
Dott. Emanuele Pozzolo - cell. 349.5616251

Studio Legale Pozzolo & Enasco: nuova partnership

NUOVA CONVENZIONE TRA LO STUDIO LEGALE POZZOLO E IL PATRONATO ENASCO: DIFENDI I TUOI DIRITTI E NON SOLO.

Dal 1967 l’Istituto di Patronato e di Assistenza sociale 50&Più Enasco è al servizio dei cittadini, offrendo assistenza gratuita in Italia e nel mondo per ogni pratica da richiedere all’INPS, all’ENPALS, all’ENAP-PSMSAD ed a tutti gli Enti Previdenziali. Il Patronato 50&Più ha siglato una specifica convenzione con lo Studio Legale Pozzolo, che ha sede a Vercelli, grazie al quale i nostri Iscritti potranno accedere ad un’ampia gamma di servizi legali ad un costo contenuto, con la garanzia di ottenere in tempi rapidi risposte qualificate al fine di far valere i propri diritti.

La nuova convenzione stipulata dal Patronato 50&Più Enasco con lo Studio Legale Pozzolo di Vercelli si fonda sull’esigenza di offrire, a fronte di costi certi e contenuti, un innovativo servizio di consulenza e di assistenza legale utile per risolvere ogni tipo di problematica relativa ai tuoi diritti previdenziali.

In caso di dubbi o problemi relativi a:
- pensione di vecchiaia
- pensione di anzianità
- pensione di reversibilità
- assegno di invalidità e pensione di invalidità
basta rivolgersi agli Operatori del Patronato 50&Più Enasco che illustreranno nel dettaglio la convenienza dei servizi legali previsti dalla nuova convenzione stipulata con lo Studio Legale Pozzolo.

Grazie alla nuova convenzione, stipulata dal Patronato 50&Più Enasco con lo Studio Legale Pozzolo di Vercelli, difendi i tuoi diritti previdenziali. E non solo…

Oltre all’assistenza legale specificatamente prevista dalla nuova convenzione, lo Studio Legale Pozzolo offrirà agli iscritti del Patronato 50&Più Enasco l’accesso agevolato a tutti i servizi legali che possono essere utili, in particolare, nell’ambito del diritto famigliare (separazione, divorzi, successioni ed eredità), del diritto di locazione, del diritto del lavoro, del diritto commerciale (stipula contratti di ogni genere e recupero crediti), del diritto fiscale (problemi di carattere tributario) e più in generale nell’ambito di ogni problema di diritto civile.

Studio Legale Pozzolo
Più di trent’anni di esperienza nell’ambito del diritto

Lo Studio Legale Pozzolo, che ha sede nel centro di Vercelli, in Via Fratelli Giolito n. 46, si occupa di consulenza legale e di assistenza giudiziale e stragiudiziale.
Lo Studio offre consulenza e assistenza qualificata per risolvere ogni tipo di problema giuridico riguardante la sfera famigliare, patrimoniale, lavorativa e previdenziale.
I numerosi anni di esperienza maturati nell’ambito della pratica forense e della consulenza legale permettono di poter considerare lo Studio Legale Pozzolo come un punto di riferimento, nel campo del diritto, per tutto il territorio vercellese.

Per risolvere i tuoi dubbi.
Per far valere i tuoi diritti.
Per difendere i tuoi interessi.

Studio Legale Pozzolo
Via Giolito n. 46
13100 Vercelli
Tel. 0161.254664
Cell. 349.5616251
Fax: 0161.254664

Mediare col fisco conviene

Dal prossimo 1° aprile 2012 entrerà in vigore mediazione tributaria: ovvero uno strumento deflattivo del contenzioso su cui peraltro l’Agenzia delle Entrate ha già emanato una recente circolare, la 9/E del 19 marzo 2012.

La mediazione tributaria, apparentemente simile sotto molteplici punti di vista agli strumenti già presenti per diminuire le liti tributarie, presenta una novità sostanziale: la procedura relativa al nuovo istituto dovrà essere "gestita" da funzionari diversi da quelli che hanno emesso l’atto impositivo.

La mediazione sarà possibile per liti tributarie non superiori ai 20 mila euro: è importante chiarire che per "valore della lite" si intende l’importo del tributo al netto di interessi e di eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato.

Gli atti che possono essere oggetto di mediazione sono:
- avviso di accertamento
- avviso di liquidazione
- provvedimento che irroga le sanzioni
- iscrizione ruolo
- rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi
- sanzioni pecuniarie e interessi o altri accessori non dovuti
- rigetto di domande di definizione agevolata di tributi
-  diniego o revoca di domande di agevolazioni o rigetto di domande di definizioni agevolata
- ogni altro atto emanato dall’agenzia delle entrate per il quale la legge prevede l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie.

Possono essere oggetto di mediazione anche il rifiuto tacito della restituzione dei tributi, sanzioni e interessi o altri accessori non dovuti.

La nuova procedura di mediazione si perfeziona attraverso il versamento dell’intero importo dovuto o, in alternativa, con il  pagamento della prima rata entro 20 giorni dalla positiva conclusione della mediazione.

In caso di mediazione riuscita le sanzioni sono applicate nella misura del 40 per cento delle somme irrogabili, in rapporto al totale dei tributi dovuti a seguito della mediazione.

Va sottolineato che, ovviamente, nel caso la mediazione non vada a buon fine il contribuente può sempre inoltrare ricorso alle commissioni tributarie.

In particolare il termine di 30 giorni per instaurare la lite va calcolato a partire dal giorno successivo a quello di compimento dei 90 giorni dal ricevimento dell’istanza da parte della direzione, senza che sia stato notificato il provvedimento di accoglimento della stessa, o senza che sia stato concluso il procedimento di mediazione.
Nel caso in cui il contribuente riceva comunicazione del provvedimento dopo la scadenza dei 90 giorni, il termine di 30 giorni per la costituzione in giudizio decorre comunque dal giorno successivo a quello di compimento dei 90 giorni.

In caso di mancato accordo successivo al tentativo di mediazione e, quindi, in caso di avvio del tradizionale contenzioso, la parte soccombente dovrà rimborsare oltre le spese di giudizio una somma pari al 50 per cento delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese del procedimento di mediazione.

Mediare, raggiungendo un accordo con il fisco, dunque conviene: soprattutto al cittadino: per far sì che l'esito della mediazione sia positivo occorre rivolgersi a professionisti esperti in grado di assistere l'eventuale debitore nel merito della materia fiscale e soprattutto capaci di portare a termine in modo valido la "trattativa di mediazione" con i funzionari dell'Agenzia delle Entrate.

Lo Studio Legale Pozzolo, fin dal prossimo 1° aprile, offrirà anche il servizio di mediazione tributaria ai propri clienti: così da poter evitare le lungaggini e i costi relativi all'eventuale instaurarsi di un processo tributario, dall'esito inevitabilmente incerto.

Per contattarci: chiama lo 0161.254664 oppure il 349.5616251; o scrivi all'indirizzo email studioavv.pozzolo@libero.it

La nostra assistenza legale tributaria a 360 gradi

Dal gennaio 2012 lo Studio Legale Pozzolo offre, in collaborazione con valenti esperti del settore tributario e fiscale, la possibilità per i propri clienti di seguire tutte le pratiche relative alla gestione fiscale ordinaria, con la possibilità di seguire - sulla base di costi chiari e di una comprovata esperienza professionale - anche tutto l'iter di un eventuale contenzioso tributario sia davanti alle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali che innanzi alla Corte di Cassazione.
Lo Studio Legale Pozzolo offre peraltro, ai propri clienti, la possibilità di usufruire del servizio di consulenza relativa ai rapporti tra creditori ed Equitalia, attivata soprattutto nell'ottica dell'ottenimento di rateizzazioni dei sospesi.
Non esitare a contattarci: assieme possiamo affrontare al meglio ogni tipo di problematica relativa al settore fiscale e tributario.
Chiama lo 0161.254664, oppure (anche in orari non d'ufficio) il 349.5616251. Oppure scrivici via email all'indirizzo studioavv.pozzolo@libero.it 

Contenzioso tributario, rivolgiti a noi.

La normativa fiscale, in Italia, sta sempre più assumendo le caratteristiche di una vera e propria giungla di leggi e leggine, spesso davvero difficilmente conoscibili da parte del cittadino. Per questa ragione è opportuno e conveniente affidarsi a degli esperti nel campo fiscale in caso di dubbi o problemi inerenti a tutto ciò che possa avere a che fare con i tributi e i rapporti con l'Agenzia delle Entrate.
Da anni lo Studio Legale Pozzolo si occupa di diritto fiscale, seguendo con professionalità e competenza tutto l'iter del contenzioso tributario (a partire dalla Commissione Tributaria Provinciale per giungere sino alla Cassazione): da qualche mese inoltre è stato attivato presso il nostro studio un nuovo servizio di consulenza fiscale e tributaria indispensabile per chiunque voglia risolvere ogni tipo di problematica giuridica di stampo fiscale. Lo Studio Legale Pozzolo offre dunque ai propri clienti un completo servizio di consulenza e di assistenza in un campo, quello del diritto tributario, decisamente complesso e in continuo aggiornamento.

E' possibile contattare il nostro studio esponendo le proprie problematiche sia via email (all'indirizzo studioavv.pozzolo@libero.it) sia telefonicamente (in orari d'ufficio, al numero 0161.254664; in altri orari, al numero 349.5616251).  

Vacanza rovinata: che fare?

Riceviamo e, volentieri, pubblichiamo (ovviamente omettendo per ragioni di privacy sia il nome della Scrivente che il nome del tour operator):
"Gent.mo avv.Pozzolo, mi permetto di scriverLe perché ho letto sul Suo sito che la prima consulenza via mail non richiede spese, dato che, prima di procedere con un'eventuale causa, preferirei avere un Suo consiglio legale. Dunque, il mio problema e' il seguente: qualche tempo fa ho fatto un viaggio di una settimana in Egitto con [omissisun noto tour operator prenotato in agenzia (e non un last minute!) che mi aveva assicurato un servizio da hotel 4 stelle. Dopo il mio arrivo, invece, ho tristemente scoperto che l'hotel era potenzialmente molto bello e ospitale, peccato che fosse in ristrutturazione da qualche settimana e che, quindi, solo poche stanze erano in funzione e più della meta' dell'albergo (tra cui la zona piscina!) era inutilizzabile. Ho ovviamente scattato delle foto e mi sono riproposta di chiedere un risarcimento danni, ma non saprei bene come procedere. Mi conviene scrivere alla mia agenzia viaggi (che, pero',mi ha detto di non essere mai stata informata sui lavori di ristrutturazione!) oppure direttamente al tour operator? C'è il rischio di entrare in causa (con lungaggini annesse e connesse) oppure c'è un modo per evitare di andare in tribunale, ma di ottenere comunque un risarcimento? RingraziandoLa se vorrà gentilmente rispondermi, i miei più cordiali saluti. [...]".
Gentile Signora,
casi simili a quello che Lei ha sottoposto alla nostra attenzione hanno già formato oggetto di lavoro per il nostro studio legale. Certamente, stando le cose così come da Lei illustrate, parrebbe sussistere un diritto ad un risarcimento danni per vacanza rovinata.
Certamente per poter esprimere un parere meglio articolato e più preciso avremmo bisogno di leggere il contratto eventualmente da Lei sottoscritto con l'agenzia viaggi, così come avremmo necessità di confrontare le foto promozionali dell'hotel con le foto poi da Lei scattate durante il soggiorno nel medesimo hotel.
In linea di massima, solitamente, se si producono elementi difficilmente contestabili - dai quali si può dedurre al di là di ogni ragionevole dubbio l'effettiva diversità del prodotto venduto da quello pubblicizzato - il tour operator difficilmente si ostina a negare un congruo risarcimento, soprattutto per evitare i costi ben maggiori che avrebbe, inevitabilmente, un giudizio.
La strada maestra, di solito, in casi del genere è quella di scrivere una lettera di protesta, indirizzata al tour operator e per conoscenza anche all'agenzia viaggi, in cui si richiede una congrua offerta di risarcimento danni per evitare di dover adire la giustizia civile, intentando così un'azione legale teoricamente evitabile. 
A tale missiva vanno allegate le fotografie che possono comprovare la radicale diversità della situazione effettiva in cui si trova l'hotel in oggetto, rispetto alla pubblicità sulla base della quale Lei si è convinta a optare per quella determinata struttura alberghiera.
E' probabile che il tour operator, pur senza rimborsarLe l'intero costo dell'hotel, cerchi di chiudere in via amichevole la diatriba, sulla base di un rimborso forfettario.
Sperando di averLe fornito elementi sufficienti per meglio inquadrare, a livello giuridico, la situazione, restiamo ovviamente disponibili per qualsivoglia assistenza in merito al Suo caso.
Con cordialità.
 
SLP 
 


Dichiarazione di successione, rivolgiti a noi.

Grazie ad una continua opera di aggiornamento normativo lo Studio Legale Pozzolo offre ai suoi clienti un nuovo servizio: oltre a curare ogni tipo di rapporto giuridico legato all'ambito delle successioni ereditarie, dal 2012, ci occupiamo direttamente noi anche di redarre la dichiarazione di succesione, con rapidità e con costi davvero contenuti. Chiamaci per eventuali ulteriori informazioni allo 0161.254664 (o, anche non in orari d'ufficio, al 349.5616251)oppure scrivici via email all'indirizzo studioavv.pozzolo@libero.it

Sequestro conservativo in materia tributaria


Non è infrequente che l'Agenzia delle Entrate, a seguito di accertamento tributario, tenti la via del sequestro conservativo, al fine di "garantire" il patrimonio del supposto debitore nei confronti dello Stato. Non sempre però vengono rispettati i limiti, molto precisi, che la legge impone come fondamento normativo al fine dell'applicazione delle misure conservative. A tal fine, è necessario rivolgersi ad esperti del diritto che sappiano valutare, con equilibrio e precisione, l'eventuale insussistenza di tali presupposti. Lo Studio Legale Pozzolo, con sede in Vercelli, si occupa da anni anche del contenzioso tributario e, grazie ad un aggiornamento  continuo rispetto alle modificazioni normative, può garantire - sulla base di costi chiari - una difesa efficace volta a contrastare le pretese, tavolta decisamente "aggressive", di chi è chiamato a risquotere i tributi per conto dello Stato.
Qui di seguito si fornisce un ampio estratto di una circolare emanata dalla stessa Agenzia delle Entrate, nel febbraio del 2010, fondamentale per la tutela degli interessi del contribuente che si vede richiedere, da parte dello Stato, l'applicazione di alcune misure cautelari a tutela del proprio (eventuale) debito erariale. 
  



ESTRATTO DALLA CIRCOLARE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
N. 4/E FEBBRAIO 2010



3. Presupposti
Come si desume dal combinato disposto degli articoli 22, comma 1, del decreto legislativo n. 472 del 1997 e 27, commi da 5 a 7, del decreto legge n. 185 del 2008, i presupposti per l’adozione delle misure cautelari sono:
· l’esistenza di un atto di contestazione, di un provvedimento di irrogazione sanzione, di un avviso di accertamento, di un processo verbale di constatazione o di un atto di recupero, ritualmente notificati e dai quali si evinca la sussistenza del c.d. fumus boni iuris, ossia l’attendibilità e sostenibilità della pretesa tributaria;
· il fondato timore, da parte dell’Ufficio, di perdere la garanzia del proprio credito, c.d. periculum in mora.
Evidentemente i predetti presupposti devono sussistere congiuntamente affinché possa essere applicata la misura cautelare.
Con riguardo al primo presupposto, nella ipotesi in cui si agisca sulla base di un provvedimento impositivo, il titolo per richiedere le misure cautelari è rappresentato dallo stesso atto formale, che ha già subito un’attenta valutazione circa l’attendibilità e la sostenibilità della pretesa, e, conseguentemente, l’Ufficio, nella richiesta di adozione delle misure in argomento, potrebbe fare un mero rinvio al predetto titolo. Occorre, tuttavia, sottolineare la fondamentale importanza di una puntuale ed esauriente motivazione della richiesta; pertanto, gli Uffici porranno particolare cura nel motivare le proprie istanze.
Nel caso in cui si proceda, invece, sulla base del processo verbale di constatazione, l’Ufficio, oltre ad indicare il titolo in forza del quale richiede l’adozione delle misure cautelari, deve analiticamente evidenziare anche le ragioni che stanno a fondamento della pretesa ed ogni altra circostanza che possa supportarla, quale, ad esempio, l’accertamento in sede penale di fatti comprovanti la violazione. Peraltro, qualora le misure vengano richieste sulla base di un processo verbale di constatazione, esse, come si chiarirà diffusamente più avanti, perdono efficacia ai sensi dell’articolo 22, comma 7, “se nel termine di 120 giorni dalla loro adozione, non viene notificato atto di contestazione o di irrogazione” e lo stesso accade, ai sensi dell’articolo 16, comma 7, laddove alle memorie difensive non faccia seguito entro il medesimo termine il provvedimento di irrogazione della sanzione.
Quanto al secondo presupposto, l’evidenziazione del c.d. periculum in mora deve essere adeguatamente circostanziata nella richiesta e deve scaturire da un’approfondita ed attenta analisi della situazione del debitore-contribuente; l’adozione delle misure cautelari, così come la scelta di quelle che si intende adottare, deve, infatti, essere improntata a prudenza, sia in ragione degli effetti che queste misure hanno sulla tutela dell’interesse erariale, prima ancora che sia divenuto certo, liquido ed esigibile, sia per le implicazioni che le stesse determinano sul patrimonio dei contribuenti.
È necessario, pertanto, effettuare un preventivo esame della pretesa impositiva e dell’intera posizione del contribuente anche al fine di avere una visione approfondita del debito erariale dello stesso. In particolare, qualora si proceda sulla base di un processo verbale, dovranno essere determinati gli importi dei tributi, degli interessi e delle sanzioni che saranno in concreto applicate sulla base dei rilievi condivisi dall’Ufficio.
Il concetto di periculum in mora richiama, infatti, una pluralità di elementi, anche di carattere indiziario, ma convergenti nell’indurre a ritenere reale, da parte degli Uffici, il rischio di comportamenti del contribuente mediante i quali i beni disponibili vengono sottratti ad eventuali azioni esecutive da parte dell’agente della riscossione in caso d’inadempimento.
In via generale, poi, il pericolo per la riscossione, che deve essere attuale e non solo potenziale, può essere desunto sia da dati oggettivi come la consistenza quantitativa e le caratteristiche qualitative del patrimonio, sia da dati soggettivi quale la condotta del debitore. Il comportamento del debitore deve essere valutato in base a fatti non equivoci, desumibili, ad esempio, dai pregressi comportamenti negoziali e processuali e dall’effettuazione di atti di dismissione.
Pertanto, l’Ufficio deve attivarsi per l’adozione delle misure cautelari tutte le volte in cui ritenga probabile che in futuro il debitore (contribuente o trasgressore) possa dissolvere i propri beni, peraltro già ritenuti, al momento, insufficienti o comunque appena sufficienti a soddisfare la pretesa erariale.
Circostanze sintomatiche del fondato pericolo di perdere la garanzia del credito tributario possono essere individuate, ad esempio, nella consistenza di un patrimonio dell’impresa, risultante dagli ultimi bilanci, non capiente rispetto alla pretesa erariale o dal fatto che sia cessata l’attività d’impresa facendo venir meno la principale garanzia.
In particolare, in ipotesi di notevole sproporzione tra la consistenza patrimoniale del contribuente (o autore della violazione) e l’entità del credito da tutelare, al predetto elemento statico deve affiancarsi, ai fini del requisito del periculum in mora, l’ulteriore elemento dinamico rappresentato dal comportamento del contribuente successivo all’espletamento del controllo, desumibile da ogni concreto elemento indicativo della volontà del debitore di depauperare il proprio patrimonio.
Inoltre, tra i sicuri indici di pericolo per la riscossione devono essere considerate le cessioni di beni o diritti che siano state effettuate in epoca recente, tali da far ritenere che si sia in presenza di un tentativo di sottrarsi all’adempimento dell’obbligo tributario, comportamento, quest’ultimo, suscettibile di assumere rilevanza penale al ricorrere delle condizioni previste dall’articolo 11 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74.
Anche operazioni sul capitale sociale o che su questo hanno riflessi, quali conferimenti di azienda o rami di azienda, fusioni o scissioni, possono essere indicative di un processo di annacquamento del patrimonio.

4.2.1 Procedimento per la richiesta delle misure cautelari
Il procedimento per la concessione delle misure cautelari è disciplinato dall’articolo 22 del decreto legislativo n. 472 del 1997.
L’atto introduttivo consiste in un’istanza al Presidente della Commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’Ufficio finanziario che ha emesso o ha competenza ad emettere (nel caso che il titolo sia il processo verbale di constatazione) il provvedimento con il quale viene contestata la violazione ed irrogata la sanzione.
L’istanza, perciò, deve contenere tutti gli elementi, prescritti dal codice di rito, di seguito riportati:
· l’indicazione del titolo in base al quale si procede (atto di contestazione, avviso di irrogazione, processo verbale di constatazione, avviso di accertamento o atto di recupero del credito indebitamente compensato) e della somma per la quale si intende procedere; oltre ad indicare il titolo, l’Ufficio deve esporre le ragioni che stanno alla base della pretesa e le circostanze che la rendono attendibile e sostenibile (fumus boni iuris), in particolare nel caso di processo verbale di constatazione;
· le ragioni che giustificano il timore di perdere la garanzia del credito nel periodo intercorrente tra la notifica e la riscossione (periculum in mora);
· l’individuazione e la descrizione dei beni o dei diritti che si intendono sottoporre a sequestro o a ipoteca.
L’istanza, quindi, deve essere adeguatamente motivata e deve indicare le circostanze di fatto e di diritto che mettono in pericolo la riscossione del credito erariale.
Al fine di agevolare gli adempimenti degli Uffici si allega alla presente Circolare un fac-simile di istanza che potrà essere all’uopo modificato ed integrato (Allegato n. 2).
Si rammenta, inoltre, che l’articolo 22 prevede due distinte procedure, una delle quali “ordinaria” e l’altra con carattere “straordinario” o d’urgenza.
In base alla prima, l’istanza prevista dal comma 1 dell’articolo 22 deve essere notificata a tutte le parti interessate, anche a mezzo posta, e depositata, unitamente ai documenti che l’Ufficio ritiene opportuno allegare (copia provvedimento impositivo, copia certificati, ecc.). Le parti, entro venti giorni dalla notifica, possono depositare memorie e documenti difensivi. Formato il fascicolo, il Presidente della Commissione fissa con decreto la trattazione dell’istanza per la prima camera di consiglio utile, disponendo che sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima.
A seguito della trattazione, la Commissione decide con sentenza, pronunciandosi, oltre che sull’applicazione delle misure cautelari, anche sulle spese di giudizio di tale fase procedurale, le quali devono essere liquidate direttamente nel medesimo provvedimento.
La seconda procedura deve adottarsi nel caso di eccezionale urgenza o pericolo nel ritardo, che dovrà essere dimostrato dall’Ufficio (nelle ipotesi, ad esempio, di intervenuta alienazione di beni da parte del debitore, o di apposizione sugli stessi di vincoli che ne rendano più difficoltosa l’eventuale escussione). In tal caso, il Presidente della Commissione tributaria provvede con decreto motivato, inaudita altera parte.
Tale decreto non viene riesaminato in sede collegiale, come generalmente succede per i decreti resi in via d’urgenza. È invece ammesso reclamo al collegio entro trenta giorni, il quale, sentite le parti in camera di consiglio, decide con sentenza.
Per una esaustiva trattazione dell’argomento, si fa, comunque, rimando alle indicazioni già fornite a commento dell’articolo 22 con la Circolare n. 180/E del 10 luglio 1998, paragrafo 2 e con la successiva Circolare n. 66/E del 6 luglio 2001, paragrafo 8.
Si evidenzia che l’articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 qualifica come “sentenza” il provvedimento con cui la Commissione tributaria provinciale decide sulla richiesta di misure cautelari.
Per questo motivo, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, si deve ritenere “che esso sia sottoposto dal legislatore medesimo ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze e dunque l’appello ed il successivo ricorso per cassazione; ancorché si tratti di provvedimenti che non assumono la stabilità propria di un vero e proprio giudicato in quanto “perdono efficacia a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda” (si parla in proposito di un “giudicato cautelare”),” (Cass., n. 24527 del 2007; conforme, Cass., n. 7342 del 19 marzo 2008).
Pertanto, l’Ufficio che intende censurare la pronuncia di rigetto sulla richiesta di misure cautelari può proporre la relativa impugnazione dinanzi al giudice di grado superiore.

4.2.2 Rapporto tra procedimento ex articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 e giudizio di
merito
In sede di valutazione dell’opportunità di proporre impugnazione avverso la sentenza di rigetto della richiesta di misure cautelari, l’Ufficio deve tener conto - oltre che delle concrete possibilità di un ribaltamento dell’esito del precedente grado di giudizio e dell’eventualità, in caso di rigetto dell’impugnazione, di condanna alle spese - anche delle vicende dell’eventuale giudizio di merito instaurato medio tempore dall’interessato avverso l’atto impositivo sulla cui base è stata formulata richiesta di misure cautelari.
Ciò anche nelle ipotesi in cui le misure cautelari siano state richieste sulla base di un processo verbale di constatazione da cui è successivamente scaturito l’atto di accertamento poi impugnato dall’interessato.
La possibilità della contestuale pendenza del procedimento ex articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 e del giudizio di merito avverso l’atto impositivo, pertanto, si riflette sui comportamenti che gli Uffici sono chiamati a porre in essere in sede processuale.
Nel caso in cui la richiesta di misure cautelari - formulata, ad esempio, sulla base di un processo verbale di constatazione presupposto di un atto di accertamento - sia stata accolta ed il successivo atto di accertamento sia stato impugnato, l’Ufficio, costituendosi nel giudizio di merito, rappresenta tale circostanza, depositando copia del relativo provvedimento giurisdizionale.
Nelle controdeduzioni, in particolare, l’Ufficio, sostiene la legittimità della pretesa tributaria anche attraverso il richiamo delle motivazioni - specificamente di quelle sul fumus boni iuris - del provvedimento con il quale sono state concesse le misure cautelari.
Secondo l’esito del giudizio di merito sono diversi gli effetti sulle misure cautelari.
Se, infatti, il rigetto del ricorso avverso l’atto impositivo non determina alcuna conseguenza sull’efficacia delle misure cautelari, di contro le stesse - in base al comma 7 dell’articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 - perdono efficacia “a seguito della sentenza, anche non passata in giudicato, che accoglie il ricorso o la domanda”.
In ragione del chiaro dato letterale della norma appena richiamata, deve, invece, ritenersi che la sospensione giudiziale dell’atto impugnato disposta ai sensi dell’articolo 47 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, non comporta la perdita di efficacia della misura cautelare già concessa.
Nell’ipotesi in cui sulla richiesta ex articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 non sia ancora intervenuta una pronuncia del giudice tributario e nel frattempo sia stata incardinata la controversia di merito, l’Ufficio si costituisce nel secondo giudizio rappresentando la pendenza del primo procedimento, al fine di una eventuale riunione ai sensi dell’articolo 29 del d.lgs. n. 546 del 1992.

4.2.3 Partecipazione dell’Ufficio alla camera di consiglio sulla richiesta di misure
cautelari
Nel procedimento per la richiesta delle misure cautelari, le parti sono ammesse all’audizione in camera di consiglio sia nell’ipotesi - espressamente prevista dal comma 4 dell’articolo 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 - di decisione del collegio in esito a reclamo avverso il decreto presidenziale emesso inaudita altera parte, sia nell’ipotesi, ordinaria, in cui l’istanza cautelare venga direttamente sottoposta alla cognizione del collegio.
In proposito, la Cassazione ha chiarito che l’audizione deve aver luogo anche in questa seconda ipotesi “...(pur in assenza di preventiva richiesta delle parti di trattazione in pubblica udienza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 33)” in quanto “la mancata esplicita prescrizione della previa audizione delle parti in merito alla trattazione dell’istanza cautelare direttamente sottoposta alla cognizione del collegio costituisce mera lacuna legislativa, frutto d’imperfetta formulazione e, peraltro, agevolmente colmabile in funzione sistematica” (Cass., n. 7342 del 2008).
In considerazione dell’importanza delle misure cautelari quale strumento di tutela del credito erariale per il contrasto dei più rilevanti fenomeni di evasione nella fase della riscossione (cfr., al riguardo, Circolare n. 13/E del 9 aprile 2009), deve essere sempre assicurata, da parte degli Uffici, la partecipazione alla camera di consiglio in cui si decide della concessione delle medesime.

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Dott. Emanuele Pozzolo


Mediazione civile e commerciale


Nonostante numerose polemiche, il procedimento di mediazione civile e commerciale è divenuto obbligatorio lo scorso 20 marzo 2011, in seguito al volere del legislatore.
Anzitutto resta da chiarire, per molti, cosa effettivamente sia la mediazione: quando si parla di "mediazione civile e commerciale", in Italia, si intende l'attività svolta da un soggetto terzo e imparziale, finalizzata ad assistere due o più parti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una data controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa.

Quello che alcuni non sanno è che partire dal 20 marzo 2011, chiunque  intenda promuovere un giudizio in materia di diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto ad esperire preliminarmente il tentativo di conciliazione della controversia, presso un organismo autorizzato dal Ministero della Giustizia.

Bisogna sottolineare, per completezza di informazione, che la domanda di mediazione non è invece necessaria  (né quindi obbligatoria) nei seguenti casi:
a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;
b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'articolo 667 c.p.c.;
c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'articolo 703, terzo comma c.p.c.;
d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata;
e) nei procedimenti in camera di consiglio;
f) nell'azione civile esercitata nel processo penale.

Per quanto riguarda l'obbligo di mediazione per le controversie in materia condominiale e sui risarcimenti per danni derivanti dalla circolazione di veicoli e natanti, il decreto “milleproroghe” del 25 febbraio 2011 (anche a seguito di pressioni da parte di alcune categorie professionali) ha previsto una proroga di un anno.

Quello che urge rimarcare è che nei casi in cui il tentativo di mediazione è obbligatoria, tale esperimento è previsto a pena di improcedibilità del giudizio. Cosa significa? Significa semplicemente che ove la parte si rivolga direttamente al Giudice senza aver prima rivolto domanda di mediazione, il convenuto potrà eccepire l'improcedibilità entro la prima udienza. Tale eccezione, e questo è importante, può anche essere rilevata d'ufficio dal Giudice.

La mediazione è comunque facoltativa nelle altre materie non indicate dalla legge, a condizione che si tratti comunque di diritti disponibili.

All'atto del conferimento dell'incarico professionale ogni avvocato è tenuto a informare il proprio assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione e, anche, delle agevolazioni fiscali previste per il procedimento di mediazione stesso. In particolare il legale deve informare il cliente della possibilità di giovarsi di un credito d’imposta commisurato all’indennità corrisposta all’organismo di mediazione fino a concorrenza di 500 euro, in caso di successo, della metà in caso di insuccesso, delle circostanze che tutti gli atti, documenti e i provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa e che il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro e che in caso di valore superiore l’imposta è dovuta solo per la parte eccedente.

L'avvocato è tenuto altresì ad informare l'assistito dei casi in cui l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L'informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto e nel caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l'avvocato e l'assistito è annullabile.

La mediazione civile si introduce con una apposita domanda rivolta ad un organismo di mediazione accreditato presso il Ministero della Giustizia. Diversamente da ogni tipo di attività giurisdizionale
"classica"  la competenza territoriale degli organismi di mediazione non è disciplinata dalla legge, pertanto le parti che accedono alla mediazione sono libere di scegliere l'organismo discrezionalmente, senza vincoli prestabiliti dalle norme; nel caso in cui la parte abbia proposto domanda presso diversi organismi, la mediazione si terrà presso l'ente in cui è stata presentata la prima domanda.

La domanda di mediazione deve contenere le generalità delle parti e dei loro rappresentanti, l'indicazione dell'organismo scelto, l'oggetto della domanda e le ragioni a fondamento della stessa. Alla domanda vanno allegati tutti i documenti utili a supportare la propria pretesa.

Il mediatore, solitamente, viene scelto dall'organismo presso cui la parte ha depositato per prima la domanda di mediazione, tranne nel caso in cui vi sia accordo unanime tra le parti in conflitto. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l'organismo ha la facoltà di nominare uno o più mediatori ausiliari.

L'organismo fissa il primo incontro tra le parti non oltre quindici giorni dal deposito della domanda.
La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all'altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, ma senza che siano stabilite dalla legge formalità a tale riguardo.

In coerenza col principio della "non formalità" a cui tutta la disciplina della mediazione civile e commerciale è ispirata, il procedimento di mediazione si svolge senza alcuna formalità presso la sede dell'organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell'organismo. Va detto che, peraltro, la legge prevede la possibilità che le sessioni possano anche svolgersi per via telematica, come ad esempio in videoconferenza.

Il mediatore deve adoperarsi affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia. E' bene notare che in nessun caso il mediatore può decidere sulla controversia, ma può soltanto proporre una soluzione transattiva al fine di evitare il giudizio.

N.B. Nel caso in cui l'altra parte convenuta non partecipi all'incontro senza un giustificato motivo, nel successivo giudizio il Giudice può desumere argomenti di prova ai sensi dell'art. 116, II co c.p.c.

Nel caso in cui le parti raggiungessero un accordo amichevole, questo verrebbe verbalizzato dal mediatore. Successivamente, su istanza di parte al Presidente del Tribunale nel cui circondario ha sede l'organismo, l'accordo potrebbe essere omologato, costituendo in tal modo titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, per l'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.

Se le parti, al contrario, non dovessero raggiungere un accordo amichevole, il mediatore potrebbe comunicare loro per iscritto (come previsto dalla legge) una proposta di conciliazione; esse, entro sette giorni dalla comunicazione da tale proposta, dovrebbero far pervenire al mediatore, per iscritto, l'accettazione o il rifiuto della proposta. Una volta trascorso il termine senza risposta, la proposta si ritiene rifiutata. Anche nel caso di mancato raggiungimento di un accordo, a seguito della proposta del mediatore, viene redatto un verbale nel quale sono riportati i termini dell'accordo e della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione.

Al fine di responsabilizzare le parti nel procedimento di mediazione, la legge prevede che ove il provvedimento che definisce il successivo giudizio corrisponda interamente al contenuto della proposta del mediatore, il giudice escluda la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanni al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto, salvo l'applicazione degli articoli 92 e 96 c.p.c.

N.B. La parte vincitrice che avesse rifiutato tale proposta (quella poi, eventualmente, emersa dalla successiva sentenza) sarebbe condannata altresì al pagamento delle indennità corrisposte all'organismo per le spese di mediazione.

RAPIDITA' nella risoluzione delle controversie ed ECONOMICITA' nel raggiungimento del risultato prefissato sarebbero i criteri ispiratori della nuova disciplina della mediazione civile e commerciale, che dal prossimo marzo 2012 sarà a pieno regime.


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*Tempistica "procedurale": Il primo incontro tra le parti viene fissato entro quindici giorni dal deposito della domanda di mediazione. La procedura deve concludersi complessivamente entro quattro mesi.

**Costi della mediazione: I costi del procedimento di mediazione civile sono fissati dal Decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180, alla tabella dell'allegato A. Le indennità da versare all'organismo di mediazione variano in base al valore della controversia. Ogni parte è tenuta a versare la somma pari ad € 40,00, per l'avvio del procedimento, oltre alle somme qui indicate:

Valore della lite
Spesa (da corrispondersi da ogni parte)
Fino a Euro 1.000
Euro 65,00
da Euro 1.001 a Euro 5.000
Euro 130,00
da Euro 5.001 a Euro 10.000
Euro 240,00
da Euro 10.001 a Euro 25.000
Euro 360,00
da Euro 25.001 a Euro 50.000
Euro 600,00
da Euro 50.001 a Euro 250.000
Euro 1.000,00
da Euro 250.001 a Euro 500.000
Euro 2.000,00
da Euro 500.001 a Euro 2.500.000
Euro 3.800,00
Euro 2.500.001 a Euro 5.000.000
Euro 5.200,00
oltre Euro 5.000.000
Euro 9.200,00


***La mediazione è gratuita per coloro che nel processo civile posseggono i requisiti per il gratuito patrocinio; in tal caso non  è dovuta alcuna indennità.